La bussola e la mappa: strumenti di viaggio e indicatori di trattamento

27/11/2018

La bussola e la mappa: strumenti di viaggio e indicatori di trattamento

Una importante domanda che uno/a specialista dovrebbe continuamente porsi durante il suo lavoro è se il trattamento che sta proponendo sta andando bene o sta incontrando degli ostacoli.

Da psicoterapeuta strategica, rigorosamente legata agli obiettivi terapeutici e alla promozione di cambiamenti, sento costantemente la necessità di monitorare l’andamento del trattamento che offro. Per fare questo credo che bisogna partire da una buona pianificazione della terapia che si vuole proporre.

La pianificazione del trattamento è uno degli aspetti più complessi nel lavoro terapeutico, si costruisce in conformità a dei presupposti teorici da cui si sviluppano delle tecniche operative specifiche, sulla base di quanto lo/la psicoterapeuta ha osservato durante l’interazione clinica (R.B. Makover, 1999).

Il trattamento della psicoterapia strategica è basato sul risultato ossia il miglior risultato possibile raggiungibile dal nostro paziente. Tende, in poche a parole, ad avere uno sguardo alla fine del periodo di terapia per individuare il miglior risultato.

Questo si costruirà da una serie di fattori che sono parte imputabili al/la paziente, come la motivazione al lavoro, le risorse psicologiche ed economiche e parte imputabili al/la terapeuta, alla sua abilità di gestire la relazione, alla sua flessibilità e capacità di usare le tecniche a sua disposizione.

Sappiamo bene che nessun approccio psicoterapeutico è migliore di altri, sono tutti efficaci, nel trattamento quindi ciò che può fare la differenza è la qualità della relazione terapeutica, ossia quella particolare capacità del/la terapeuta di saper gestire questa relazione, saperla armonizzare con le tecniche in suo possesso per favorire nel/la paziente un processo dolce e graduale di persuasione verso il cambiamento. In questa lotta tra teorie, approcci, e tecniche chi vince è solo colui o colei che sa entrare in contatto emotivo con i bisogni delle persone, sa come usare le tecniche e le teorie in suo possesso per far cambiare le persone e sa quale specifica direzione prendere per dar loro quel sollievo che cercano.

Come ci ricorda Haley un/a bravo/a terapeuta è chi sa accogliere il dolore della persona, ma sa anche come farla cambiare per superare quel dolore.

La fase di pianificazione di un trattamento diventa per questo motivo centrale nella psicoterapia perché consente di ideare, seppur su base ipotetica, la strada che il/la paziente dovrebbe percorrere per raggiungere uno stato di benessere, le tappe da toccare per giungere alla sua meta, quindi i mezzi da utilizzare per arrivare alle singole tappe.

Quando penso alla pianificazione di un trattamento mi viene in mente la pianificazione di un viaggio il cui territorio (il percorso terapeutico) è pressoché sconosciuto, ma che possiamo conoscere attraverso i mezzi che più facilmente ci consentono di esplorarlo sulla base delle sue caratteristiche specifiche.

Una buona pianificazione di questo viaggio prevede la definizione di una meta chiara da raggiungere al fine di ridurre nei viaggiatori (entrambi i protagonisti della psicoterapia, specialista e paziente, che si apprestano ad intraprendere questo cammino sconosciuto) il rischio di perdersi in quel territorio e ottimizzare al contrario le risorse e i tempi del viaggio.

La meta è l’obiettivo concordato con il/la paziente durante il primo colloquio. Non si esaurisce però in esso. Seppur l’obiettivo concordato non deve essere mai messo in secondo piano, abbinato a questo saranno presenti dei sotto-obiettivi, ossia quei traguardi intermedi che sono necessari per raggiungere la meta e dei meta-obiettivi, ossia quei progressi insiti in una psicoterapia evolutiva senza i quali probabilmente non è possibile godere appieno di questo viaggio e, soprattutto, assicurarsi che il cambiamento cercato resti costante nel tempo.

Sappiamo che quando i cambiamenti non sono consolidati il sintomo può cambiare forma, spostarsi. In questo caso purtroppo il nostro intervento solo all’apparenza produrrà il cambiamento sperato, ovvero non saremo arrivati alla meta. Il consolidamento del cambiamento si avrà solo quando le risorse del/la paziente saranno tali da non aver più bisogno del sintomo, per questo è utile lavorare anche sui meta-obiettivi. Il raggiungimento dei sotto-obiettivi insieme ai meta-obiettivi garantirà l’efficacia del trattamento.

Sono proprio questi meta obiettivi gli indicatori di trattamento, la bussola, attraverso i quali è possibile capire a che punto del tragitto ci troviamo.

Ovviamente nonostante una buona pianificazione del viaggio sappiamo che un grado di incertezza rimarrà sempre. Purtroppo, i fattori che incidono sui tempi e sulla qualità dell’itinerario sono molteplici e incontrollabili, perché attengono anche alle scelte dell’altro viaggiatore per cui sarebbe illusorio e ingenuo pensare di avere in tasca la soluzione. A fronte di ciò sappiamo però che un viaggio ben pianificato consente di ridurre i tempi di attesa e i margini di errore, e garantisce ai viaggiatori la possibilità di affermare parafrasando M. Erickson che “non ci vorrà un giorno di più di quello che è necessario”.

Ciò che consente allo/a psicoterapeuta di ipotizzare un buon programma di viaggio è la sua capacità di osservazione dell’interazione clinica. L’osservazione è, infatti, il metodo principale che utilizza lo/a terapeuta in tutto il processo della psicoterapia. Una osservazione concentrata sui microcambiamenti comportamentali, percettivi, relazionali ed affettivi degli attori coinvolti.

Questi microcambiamenti, capaci di diventare indicatori di cambiamento, si possono individuare già dalle prime fasi del trattamento e consentono al clinico di ottenere numerose informazioni sulla persona che ha richiesto il colloquio, sulla relazione che si sta strutturando tra i due compagni di viaggio, sulla motivazione al colloquio e sull’andamento della terapia.

Il focus osservativo è sui cambiamenti, non solo del sintomo, ma anche:
– dello stile relazionale e comportamentale del paziente,
– dello stile esplicativo degli eventi,
– del modo in cui il paziente utilizza le difese.

In questa sede non ci concentreremo sui cambiamenti del sintomo, di cui la terapia strategica ha fornito ampie ed esaustive spiegazioni, ma ci soffermeremo su questi altri tre aspetti, altrettanto utili a capire l’andamento della trattamento e che in questa sede definiamo come: indicatori del cambiamento nel processo clinico.

Essi infatti possono essere contemporaneamente la meta da raggiungere, ma anche la bussola dell’intero viaggio.

Costituiscono il meta-obiettivo che risiede dietro ogni sforzo psicoterapeutico, ma assumono anche il ruolo di segnalare l’andamento evolutivo del processo clinico, essendo dei risultati attesi, dei passaggi obbligati in una psicoterapia evolutiva. Se ci soffermassimo solo sul cambiamento del sintomo perderemmo di vista quei passaggi importanti del nostro viaggio, godendo solo del risultato e tralasciando il processo di crescita individuale che la psicoterapia può offrire.

Immaginiamo il nostro percorso:

I ___x____x____m___x____x___x___m__x___m__x______ O

Dove per I intendiamo l’inizio, il primo colloquio, in cui il problema era cristallizzato e ingestibile, per O maiuscola intendiamo l’obiettivo concordato che si declina nel superamento del problema e l’acquisizione di abilità tali da rendere il sintomo definitivamente non può necessario. Con le x minuscole individuiamo i sottobiettivi e i con le m minuscole i meta-obiettivi che riteniamo necessari attraversare per arrivare alla O.

Avremo in questo modo una “mappa” chiara da seguire che ci aiuterà anche a capire i mezzi specifici da utilizzare (prescrizioni, tecniche strategiche, tecniche provenienti da altri approcci, ecc.).

Questo sguardo attento alle tappe da attraversare influenza positivamente il suo senso di efficacia del trattamento e consentirà ad entrambi i viaggiatori di capire quando saranno arrivati all’obiettivo per iniziare a lavorare sulla chiusura del trattamento.

1. Stile relazionale del paziente

Iniziamo con il primo indicatore che attiene allo stile comportamentale e relazionale del paziente. Prende in considerazione la modalità con cui la persona interagisce con gli altri e attiene allo stile di comunicazione e al livello di differenziazione del sé. Un buon percorso di psicoterapia dovrebbe migliorare questi due fattori.

1.1. Stile di comunicazione

La comunicazione definisce la relazione, sappiamo infatti che la gran parte dei messaggi oltre ad avere la funzione di trasmettere un contenuto (notizia) espongono anche una richiesta all’altro (comando) (Gulotta, 2008). È questo secondo aspetto che attiene alla relazione tra i comunicanti, il contesto in cui ha luogo la comunicazione servirà a chiarire ulteriormente la relazione. Porre attenzione all’aspetto di relazione della comunicazione attiene alla capacità di metacomunicare, requisito fondamentale della comunicazione efficace, ed è anche strettamente collegato alla consapevolezza di sé e degli altri (Watzlawick et al., 1971).

Solitamente i paziente non hanno dimestichezza con gli aspetti relazionali insiti nella comunicazione. Sperimentarli in terapia porta i paziente a migliorare sia la comunicazione sia i rapporti con le persone vicine. Inoltre, si assiste ad un miglioramento dello stile di comunicazione che può passare da uno stile comunicativo Aggressivo/passivo versus uno assertivo.

1.2. Differenziazione del sé

Strettamente correlato al precedente è il fattore inerente il grado di differenziazione del sé.

Con il termine differenziazione si allude al processo con il quale si sviluppa un sé chiaramente differenziato pur rimanendo in stretto rapporto con coloro che si amano. Indica una competenza acquisita nel gestire le emozione con le persone vicine. Differenziarsi significa bilanciare due forze vitali: il bisogno di individualità e quello di vicinanza. La differenziazione è la capacità di mantenere il senso del sé quando si è emotivamente e fisicamente vicino agli altri. Consiste nella capacità di esprimere se stessi e le proprie opinioni pur essendo in legame profondo con qualcuno che la pensa diversamente da noi (Schnarch, 1997).

Implica l’aver abbandonato dinamiche di dipendenza o di controdipendenza con le figure di riferimento e l’aver sviluppato un sé autonomo, ossia capace di differenziarsi nonostante ci sia un profondo legame affettivo con l’altro. All’opposto la fusione emotiva indica una insufficiente separazione che porta ad una perdita di individualità e di autenticità (ibidem) che si esprime con eccessiva adesività o oppositività al pensiero dell’altro.

Nella relazione terapeutica può essere utile concentrarsi su questo fattore quando per esempio si lavora con le prescrizioni. Eludere una prescrizione, in taluni casi, può essere l’indicatore di una maggiore autonomia del paziente dall’opinione del terapeuta, quindi un buon segnale di efficacia del trattamento, e non esclusivamente una resistenza al cambiamento.

2. Lo stile esplicativo

Quando si parla di stile esplicativo si fa riferimento alla modalità che le persone adottano per spiegare gli eventi che capitano loro. Questo aspetto è stato ampiamente studiato da Seligman (1990) in occasione delle sue ricerche sull’ottimismo.

Lo stile esplicativo è caratterizzato da tre dimensioni cruciali: la permanenza, la pervasività e la personalizzazione. La permanenza è una dimensione che spiega gli eventi in termini temporali del tipo sempre o mai. Spiegare un evento negativo con una dimensione di permanenza tende a dare un senso di impotenza maggiore nella persona.

La pervasività riguarda invece lo spazio che occupa un evento. Gli eventi possono essere spiegati come universali, altri come specifici di un centro ambito.

La personalizzazione indica la tendenza delle persone a spiegarsi gli eventi come attribuibili a se stessi.

Seligman ci dice che le persone che tendono a spiegare gli eventi in modo permanente, pervasivo e personalizzato sono quelle che più di altre tenderanno ad avare una visione pessimistica della vita e ad incorrere più facilmente in una depressione.

All’inizio della psicoterapia i pazienti tendono a cadere in questa visione negativa cui si accompagna un senso di impotenza determinato dall’aver fallito nel tentativo di superare il problema da soli.

Seligman ha dimostrato che attraverso la psicoterapia le persone possono migrare verso uno stile temporaneo e imparare a credere che molte cose che le colpiscono possono essere modificate. La terapia può generare cambiamenti nella modalità di spiegare gli eventi e soprattutto può favorire la tendenza ad assumere un senso di responsabilità nella propria vita. Questa modalità di spiegare gli eventi favorisce la resilienza negli individui.

Secondo Michael Rutter (1985), la resilienza è la capacità di svilupparsi in modo accettabile a dispetto di uno stress o di un’avversità che comporta il rischio di un esito negativo.

Si tratta quindi non solo della resistenza ma anche del superamento delle difficoltà. Comporta, per la persona sottoposta a pressioni, la possibilità di proteggere la sua integrità, di costruirsi e aprirsi delle vie malgrado le difficili circostanze.

La resilienza può quindi essere considerata come la capacità di affrontare eventi stressanti, superarli e continuare a svilupparsi aumentando le proprie risorse con una conseguente riorganizzazione positiva della vita (Malaguti, 2005).

La capacità di affrontare in modo resiliente gli eventi stressanti è influenzata da alcune caratteristiche personali che possono essere riassunte con la consapevolezza di essere un agente attivo. La consapevolezza è strettamente correlata alla fiducia in se stessi, all’autoefficacia, al locus of control interno, all’ottimismo e alla speranza.

Queste caratteristiche fanno parte del meta-obiettivo della psicoterapia, entrano per cui nel nostro percorso.

3. Meccanismi di difesa

La capacità della persona di percepire, discriminare, mentalizzare e comunicare è influenzata dalla maturità delle difese prevalenti. In un trattamento di psicoterapia evolutivo tra i cambiamenti auspicati rientra anche il passaggio da meccanismi di difesa primitivi (frammentazione, scissione, identificazione proiettiva, negazione, proiezione, acting-out, idealizzazione, svalutazione ecc.) a meccanismi di difesa prevalentemente nevrotici (rimozione, spostamento, intellettualizzazione, razionalizzazione, ecc.) verso meccanismi di difesa maturi (umorismo, anticipazione, sublimazione, autoaffermazione, ecc.) (Lingiardi V., 2009).

Valutare lo sviluppo di questi fattori durante il processo clinico offre al/la clinico/a un’ulteriore indicatore sull’andamento del trattamento.

Secondo la prospettiva strategica un trattamento può essere considerato efficace se giungerà al cambiamento concordato e, aggiungerei, farà in modo che il cambiamento si dimostri consolidato nel tempo. Questo si realizzerà solo se, oltre a favorire il cambiamento iniziale, la terapia offrirà al suo viaggiatore nuove modalità di ottenere ciò di cui si ha bisogno con sistemi più funzionali e costruttivi, senza ricorrere al sintomo. Questo cambiamento, come abbiamo visto, necessita dello sviluppo di modalità relazionali più mature che si identificano nei meta obiettivi sopracitati.

Infatti, quando la psicoterapia lavora non solo sul problema ma anche sulle risorse della persona consente di costruire le abilità che permettono di dialogare adeguatamente con se stessi e affrontare le avversità in modo costruttivo e incoraggiante.

Sono proprio queste risorse, o meta obiettivi, quel faro che permetterà al terapeuta di percorrere la sua strada fra tanti ostacoli, senza perdersi e condurre il suo paziente alla meta del suo viaggio.

 

Bibliografia
Clement U., (2004), Terapia sessuale sistemica, tr. It., Milano, Raffaello Cortina Editore.
Erickson M. H, (1983), La mia voce ti accompagnerà, Roma, Astrolabio.
Gulotta G., (2008), Commedie e drammi nel matrimonio, Milano, Feltrinelli.
Lingiardi V. in Dazzi N., Lingiardi V., Gazzillo F., (a cura di) (2009), La diagnosi in psicologia clinica, Milano, Raffaello Cortina Editore.
Makover R.B., (1999), La pianificazione dei trattamenti in psicoterapia, Roma, Las.
Malaguti, E. (2005). Educarsi alla resilienza: come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi. Trento, Erickson.
Schnarch D., (1997), La passione nel matrimonio. Sesso e intimità nelle relazioni d’amore, tr. It. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Seligman M. E.P., (1996), Imparare l’ottimismo. Come cambiare la vita cambiando il pensiero, Firenze, Giunti ed..
Watzlawick P., Nardone G., (a cura di) (1997), Terapia breve strategica, Milano, Raffaello Cortina Editore.
Watzlawick P., Bevin J.H., Jackson D.D. (1971), Pragmatica della comunicazione umana, Roma, Astrolabio.

Fonte: http://www.istitutostrategico.it/la-bussola-e-la-mappa-strumenti-di-viaggio-e-indicatori-di-trattamento/
 



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Dott. Francesca Mastrantonio

Luogo e data di nascita: Roma, 24 - 8 - 1972
Stato civile: Mamma e moglie
Iscr. Ordine Psicologi Lazio n.9629


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